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via, appariva un non so che di arrischiato e di provocativo.

Fra Cristoforo attraversò il casale, salì per un sentieruolo a chiocciola, e pervenne sur una picciola spianata, dinanzi al palazzotto. La porta era chiusa, segno che il padrone stava desinando, e non voleva essere frastornato. Le rade, e picciole finestre che guardavano nella via, chiuse da imposte sconnesse e cadenti per vetustà, erano però difese da grosse ferriate, e quelle del piano terreno tanto elevate che un uomo avrebbe appena potuto affacciarvisi salendo sulle spalle d’un altro. Regnava quivi un gran silenzio; e un passeggiero avrebbe potuto credere ch’ella fosse una casa abbandonata, se quattro creature, due vive e due morte, poste in simmetria al di fuori, non avessero dato un indizio di abitanti. Due grandi avoltoi colle ali spalancate, e coi teschi spenzolati, l’uno spennacchiato e mezzo consunto dal tempo, l’altro ancor saldo e pennuto, erano inchiodati ciascuno sur una imposta del portone: e due bravi, sdraiati ciascuno sur una delle panche poste a diritta e a sinistra, facevano la guardia, aspettando d’essere chiamati a godere i rilievi della tavola del signore. Il padre si fermò ritto, in atto di chi si dispone ad aspettare; ma uno