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tanto uomo, ricorse ai documenti che si trovavano nelle Biblioteche estere, e tentò scagionarlo dall’accusa di eresia che i biografi contemporanei gli avevan fatto. Da questo studio del Gallizioli io ho attinto le notizie che espongo.

Guglielmo Grataroli, veramente celebre ai suoi tempi, tenne alto all’estero il prestigio della Scienza italiana. Nato da famiglia di medici, si recò allo studio di Padova, fiorente allora perchè vi leggevano Bernardo Licino, Jacopo Salvetti, Francesco Albani, Lodovico Della Torre, e si iniziò nella Chimica e nella Medicina. Era pure quell’Università dove il Pamponazzi e Pietro Vermilli, pochi anni prima che vi accedesse il Grataroli, avevano messo a rumore, non solo gli uomini di lettere e di scienze, ma i principi della stessa Corte Romana, per le ardite critiche sulle dottrine filosofiche e morali del tempo. In età di anni 21 conseguì la laurea dottorale e nello stesso anno 1537, regolarmente stipendiato, venne destinato a commentare Avicenna nella cattedra di Medicina straordinaria. Per un solo anno tenne quell’ufficio e nel ’39 venne iscritto e lo troviamo nel Collegio dei Medici della sua città natale e da documenti del tempo risulta che salì presto in fama per le prodigiose cure fatte in patria e nelle vicine città, sì che continuamente era ricercato e consultato. Ma nel 1550, secondo alcuni, dovette con precipitosa fuga evitare i rigori del Tribunale dell’Inquisizione. Così il Bayle, il Morero, il Teissier e lo storico dell’Università di Padova Nicolò Papadopoli. Anzi quest’ultimo