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588 I Vicerè

al suo capezzale, scrisse chiamando il duca per aiutarla a trasportare il sofferente. Quando Teresa lo vide arrivare, curvo, dimagrito, con la barba ispida sul viso giallo, quasi non lo riconobbe. La pace era tornata adesso nell’anima di lei. Aveva un istante disperato del soccorso divino, e giusto mentr’ella dubitava, mentre quasi accusava il Signore d’averla dimenticata, un miracolo aveva salvato il poveretto. Ella riconosceva in questo l’intercessione della Beata: innalzava quindi al cielo le più fervide azioni di grazie. La lampada ardeva ora notte e giorno nella cappella, la voce del prodigioso soccorso accresceva la fama della Santa.

Nessuna traccia della tempesta restò più in lei. Dinanzi al cognato, debole, scarno e tremante, ella non provava null’altro che una grande pietà, non faceva altri voti che per la sua guarigione. Mentre gli prodigava tutte le sue cure, come una suora, pensava: «Com’è imbruttito! Non si riconosce più!...» Egli lasciavasi curare come un bambino, senza forza, senza volontà, senza memoria. Il terribile colpo l’aveva stordito, la fibra si rinsanguava a poco a poco, ma le facoltà della mente erano più tarde a ripristinarsi. Le fortissime dosi di chinino gli avevano quasi tolto l’udito; spesso, egli credeva d’essere ancora ad Augusta, chiamava la gente che aveva intorno laggiù. La parola era rara sulle sue labbra; lo sguardo stanco, fisso, a momenti parea cieco.

Dopo un mese, i dottori consigliarono di portarlo in montagna. Sua madre lo accompagnò alla Tardarìa. Durante la loro assenza, che durò tre mesi, Teresa partorì un altro maschietto. In novembre, il freddo non permettendo più di stare in mezzo ai boschi, la duchessa e il convalescente tornarono: Giovannino era adesso guarito del tutto, i colori della salute gli fiorivano in viso; la mente però era debole ancora. La sua lieve sordità lo rendeva inquieto, irritabile, nervoso. Ora smaniava per andar fuori, per veder gente; ora si chiudeva in camera, evitando tutti. Spesso, ad una lieve