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I Vicerè 529


— Andiamo a fare una visita alla zia Radalì. Oggi è il suo onomastico.

Da un pezzo non la conducevano più lì; ma la principessa e la duchessa si salutarono come se si fossero lasciate il giorno innanzi. C’erano i due figliuoli, il duca e il barone, e altri parenti; furono serviti i gelati, la società si sciolse molto tardi.

La duchessa restituì la visita coi figliuoli, e le relazioni furono riprese con più intrinsichezza di prima. Il duca Michele, mezzo calvo, grasso, asmatico, trascurato nel vestire, stava male e mal volentieri in società; Giovannino invece vi figurava moltissimo. Salutando la cugina, mettendosi vicino a lei, parlandole, egli faceva mostra di molta grazia, d’una viva premura; il primogenito, più grossolano, più ignorante, apriva di rado la bocca, non parlava se non di quaglie e di conigli, del Biviere e del Pantano, di cani e di doppiette. Teresa, cortese ed amabile con tutt’e due, sentiva risorgere e a poco a poco farsi più forte l’ammirazione per la bellezza del cugino. Ella aveva dimenticato Biancavilla, ma c’era un vuoto nel suo cuore: il pensiero di Giovannino lo colmava. Dopo una lunga mortificazione, l’anima sua schiudevasi ancora una volta all’amore; il canto le fioriva sulle labbra, il pianoforte ridiventava il suo confidente, i libri di poesia i suoi ispiratori.

Tra le due famiglie l’intimità si venne stringendo sempre più; c’era un continuo scambio di regali, la voce del matrimonio di Teresa con uno dei cugini tornava ad acquistar nuovo credito; ma nè il principe nè la principessa si spiegavano con nessuno. Baldassarre però trionfava: il partito che egli aveva destinato alla padroncina era quello che i padroni preferivano! E con un piacere immenso, con una gioia indicibile, vedeva che tra la padroncina e il barone la simpatia cresceva ogni giorno. Il duca Michele regalava gran quantità di cacciagione agli Uzeda, ma Giovannino, che si occupava con amore di fioricoltura, mandava grandi mazzi di fiori i quali finivano nella cameretta di Teresa, o piante rare

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