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508 I Vicerè

più irascibile di prima. Contegnoso dinanzi alle persone, sfogava dinanzi alla moglie, ai figli ed ai servi la contrarietà e l’acredine. Teresa, veramente, non gli dava nessun appiglio, sempre docile e obbediente; la principessa anche lei chinava il capo al soffio della bufera; ma egli se la prendeva tutti i momenti col figliuolo, attribuendo all’apostasia politica di costui l’inasprimento di donna Ferdinanda.

— S’è messo in urto con sua zia che gli voleva tanto bene, cotesto imbecille, cotesto buffone! Perderà l’eredità, per andare a dir buffonate al circolo e al quadrato! E mi fa piovere una lite sulle spalle! Io domando e dico se mi poteva capitare maggior disgrazia d’avere un figlio così bestia e birbante!...

Ma, oltre quella, egli aveva tante altre ragioni di cruccio. Più che mai infervorato nelle sue nuove idee, deciso colla cocciutaggine di famiglia a percorrere la strada prefissa, Consalvo spendeva adesso a libri un occhio del capo. Ne faceva venire ogni giorno, intorno ad ogni soggetto, dietro una semplice indicazione del libraio, senz’altro criterio fuorchè quello della quantità, con la stessa smania di sfoggiare e di far le cose in grande che, prima, quando l’eleganza degli abiti era il suo unico pensiero, gli faceva comperare i bastoni a dozzine e le cravatte a casse. Era umanamente impossibile, non che studiare, ma neppur leggere tutta quella carta stampata che pioveva a palazzo, le opere in associazione, le voluminose enciclopedie, i dizionarii universali; e ad ogni nuovo arrivo il principe montava peggio in bestia.

— Vedi?... — rispondeva Consalvo a Teresa, quando la sorella andava a parlargli il linguaggio della pace e dell’amore. — Vedi? S’è proprio messo in capo di contrariarmi in tutto e per tutto. Che faccio di male? C’è cosa che più raccomandano, oggi: lo studio? il sapere? No: neppur questo!...

E quando il principe se la pigliava direttamente con lui, e gli rimproverava il dissidio con la zia e lo sciupio dei quattrini: