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I Vicerè 439

nava ma la verità era che non aveva neppur l’ombra di un’idea in fondo alla zucca, che non sapeva scrivere un rigo senza fare sette spropositi; e credeva di poter nascondere la sua assoluta ignoranza con l’aria di presunzione e di sufficienza! E ad una bestia di quella cubatura affidavano tutti gli affari della città e della provincia, lasciavano dettar sentenze intorno a ogni sorta di quistioni: d’istruzione pubblica, di ingegneria, di musica, di marina!... Non contento di esercitare personalmente tanto potere, ficcava i suoi aderenti da per tutto perchè facessero il suo giuoco: così Giulente zio aveva avuto la direzione della Banca, così Giulente nipote era stato fatto sindaco!...

Tutte quelle accuse dei suoi nemici giravano per il paese, trovavano credito, erano una minaccia. Giulente prendeva le sue difese, ma adesso non lo ascoltavano più come un tempo; il discredito del deputato si estendeva un poco su lui. Gli davano dell’ipocrita perchè pretendeva conservare le antiche amicizie mentre era diventato settario, l’esecutore delle partigianerie, delle ingiustizie del duca. Ipocrita soltanto? I più accaniti assicuravano che teneva anzi il sacco all’Onorevole, perchè qualcosa doveva entrargliene, perchè spartivano gli illeciti profitti, il frutto dei loschi affari!... E più di ogni altro argomento, questo dei guadagni del deputato aveva la virtù d’infiammare i suoi nemici. Delle cariche pubbliche s’era servito per accomodar le sue cose; i denari impiegati nella rivoluzione gli fruttavano il mille per cento! Così spiegavasi il suo patriottismo, la commedia della sua conversione alla libertà, mentre Casa Uzeda era stata sempre covo di borbonici e di reazionarii, mentre egli stesso, al Quarantotto, aveva goduto col cannocchiale, come al teatro, lo spettacolo della città agonizzante! Spiegavasi un poco con la paura, col bisogno di dar prova di liberalismo e di democrazia per non essere fucilato — e i gonzi s’eran lasciati prendere dalla famosa abolizione del pane di lusso, durata quindici giorni! — ma la cupidigia era stata più grande della paura; e certuni