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pestosa spiegazione determinavano l’amico suo a quel passo, e non l’amore di lei; e sentiva anche che l’ostentazione della loro amicizia, laggiù, in una piccola città, le avrebbe fatto torto, che la morale più o meno sincera della provincia si sarebbe ribellata. Pure, essendo ormai tardi, non riuscendo del resto con le sue osservazioni che ad eccitare maggiormente Raimondo, non le restando altro per trarlo a sè che fare assegnamento su queste eccitazioni, ella era venuta. Gli Uzeda, a ogni modo, sarebbero stati per lei.

Appena arrivata, infatti, donna Ferdinanda, che non ostante le mal sedate inquietudini pubbliche era in città per una sua causa contro certi debitori morosi, venne a trovarli all’albergo, s’informò dell’accaduto, approvò la determinazione di Raimondo con una sola parola, ma molto espressiva: «Finalmente!...» C’erano in città anche Benedetto e Lucrezia che s’era poi fatto coraggio: Raimondo andò a trovarli il domani del suo arrivo. Lucrezia gli restituì la visita nella stessa serata, non curando l’opposizione del marito. Questi giudicava molto severamente la condotta del cognato e, se avesse osato, avrebbe impedito alla moglie di far quella visita; ma Lucrezia dichiarò che non vedeva nulla di male nell’andare a trovare il proprio fratello: era forse obbligata a sapere che «accompagnava» una signora? E andarono all’albergo, dove Raimondo li ricevette solo; ma dopo un poco che discorrevano del viaggio e del tempo, egli andò a picchiare all’uscio della camera accanto, e comparve donna Isabella, la quale strinse la mano a Giulente e baciò Lucrezia. Nè presentazioni, nè spiegazioni, nè nulla. Benedetto, sulle prime, era imbarazzatissimo, non sapeva come trattare, con qual nome chiamare la Fersa; ma ella stessa diede il tono alla conversazione, parlando del più e del meno con molta disinvoltura, come tra vecchi amici, anzi come tra veri parenti. «Pel momento erano all’albergo; ma non potevano naturalmente restarci. Raimondo aveva intenzione di prendere in affitto un quartiere in città; ella giudi-