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330 I Vicerè

Don Lodovico esprimeva il proprio dolore all’Abate per questa persecuzione. Egli si era guardato bene dal far la propaganda della quale Sua Paternità l’aveva pregato, prima di tutto perchè il suo proposito di neutralità glie lo vietava, poi perchè neppur lui voleva Giulente al convento. Nondimeno era stato il solo a votare il sì, per dimostrare al Superiore la propria fedeltà, sicuro frattanto dell’unanime opposizione dei monaci. Dopo l’esito dello scrutinio, gettava la colpa sulla doppiezza dei Padri, che dopo tante promesse, all’ultimo momento, per uno «stupido» pregiudizio, s’eran disdetti.... E così la baracca andava avanti, col solito armeggio dei partiti, con le solite discussioni più o meno burrascose, quando un bel giorno tutta la frateria fu messa a rumore da un avvenimento straordinario, come al tempo della rivoluzione.


Garibaldi era già in Sicilia a far gente, non si sapeva perchè, o meglio, si sapeva benissimo: per andar contro il Papa. Al suo avanzarsi un mal represso fremito si levava tutt’intorno, per le città e le campagne, mentre le autorità si barcamenavano non sapendo a qual santo votarsi, e un po’ fingevano d’osteggiarlo, un po’ gli cedevano il passo. Quando egli si presentò dinanzi a Catania, la guarnigione che doveva arrestarlo aveva già sgomberato la città, il prefetto scese al porto per imbarcarsi sopra un legno di guerra. E il Generale entrò coi suoi volontarii tra due siepi vive di popolazione che applaudiva e gridava freneticamente, in mezzo a un delirio d’entusiasmo dinanzi al quale le stesse dimostrazioni del Sessanta parevano tiepide e scolorite. Da un balcone del Circolo degli operai, dominando il corso gonfio di popolo come una fiumana, egli spiegava lo scopo della nuova impresa, gettava con la voce dolce il grido della nuova guerra: «O Roma, o morte!...» Poi, dove andò egli a porre il suo quartier generale? A San Nicola!

Le grida, il trambusto che ci furono lassù tra i monaci si lasciarono anch’essi molto indietro le dimostra-