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I Vicerè 313

— fontana. «Una cosa commovente,» diceva piano il duca al prefetto che gli stava a fianco. A un tratto vi fu un rimescolìo: Chiara, non potendone più, s’era lasciata cadere sopra uno sgabello. Tutti la circondarono, ma ella li rassicurava con un sorriso: sorrideva perfino Monsignore, sapendola in istato interessante. Il marchese la trascinò in carrozza, mentre il resto della comitiva andava in casa dei Giulente, dove le cose eran fatte forse con più sontuosità che dal principe; un rinfresco che non finiva mai, i gelati che squagliavano nei vassoi per mancanza di consumatori; e finalmente gli sposi si misero in carrozza e se ne andarono al Belvedere.

Il domani mattina andarono lassù a trovarli, uno dopo l’altro, i Giulente marito e moglie, don Lorenzo e il duca, la principessa e perfino Chiara, fresca come una rosa; i dolori erano svaniti, ella aveva voluto a forza salire dalla sorella. Gli sposi non aspettavano più nessuno, quando, nel pomeriggio: drlin, drlin, un tintinnio di sonagliere, e la carrozza di donna Ferdinanda, tutta impolverata, si fermò dinanzi al cancello del villino. La zitellona, come se li avesse lasciati la sera precedente, come se fossero maritati da dieci anni, diede la mano da baciare alla nipote, e appena sedutasi disse a Benedetto:

— Bell’affare m’hai proposto! Gli altri creditori si oppongono alla cessione dell’ipoteca!

Benedetto, dallo sbalordimento, non seppe lì per lì che rispondere; ma Lucrezia si voltò a lui dicendo:

— Non c’è modo di accordarli?

— I creditori?... Sicuro.... si possono accordare.... E frenando a stento un sorriso, esclamò: — Vostra Eccellenza non se ne inquieti. Il credito di Vostra Eccellenza era privilegiato. Li faremo stare a dovere, non dubiti!

Il domani, donna Ferdinanda tornò col suo patrocinatore, perchè Benedetto gli spiegasse bene il da fare; e tornò ancora il giorno appresso, e poi quell’altro, finchè, per farla contenta, egli stesso riscese con la moglie in città a dipanare in persona la matassa. Dovevano passare