Pagina:I Vicerè.djvu/303


I Vicerè 301

per ingraziarsi quell’altro cialtrone amico dei mangiapolenta!... Il sonatore dei miei sonagli!... Il barone con sette paia di effe!...


II.


Quando la contessa Matilde tornò, dopo due anni di lontananza, tra i parenti del marito, essi medesimi, alla prima, non la riconobbero. Se era stata sempre pallida e magra, adesso era scialba e scarnita; il petto le si affondava come se qualche male lento e spietato la rodesse, le spalle le s’incurvavano come per il peso degli anni, e gli occhi incavati, accerchiati di livido, lucenti di febbre, dicevano lo strazio di un pensiero cocente, d’una cura affannosa, d’una paura mortale.

— Povera Matilde! Sei stata male? — le domandò la principessa, a dispetto delle ingiunzioni del marito, il quale le proibiva di esprimere nulla.

— Un poco.... — rispose la cognata, scrollando il capo, con un sorriso dolce e triste. — Adesso è passato....

Infatti, ella si sentiva rinascere. Suo padre non aveva voluto nè accompagnarla in quella casa, nè permetterle di condurvi le bambine; eppure, dimenticando quanto vi aveva sofferto, ella vi entrava con un senso di sollievo e quasi di fiducia. La tempesta recente era stata così forte e dura, che ella pensava anzi con un senso di rammarico al tempo degli antichi dolori; li aveva giudicati intollerabili e non sapeva di quanto sarebbero cresciuti, a poco a poco, ma costantemente, fino a contenderle la stessa speranza d’un qualunque ritorno alla pace. Come le si era chiuso il cuore ai primi disinganni, nel vedere che l’amor suo non bastava a Raimondo, che egli pensava diversamente da lei, che faceva consistere la felicità in cose senza valore per lei! Eppure egli non l’aveva tradita, allora! Ma erano venuti i tra-