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I Vicerè 271

quistioni d’interesse, Lucrezia si dichiarò pronta. Il principe, che aveva tenuto molte conferenze col signor Marco ed era stato molti giorni chiuso nello scrittoio, venne fuori a chiedere, anche a nome del fratello coerede, che fosse presa come base la divisione fatta dalla madre, dimostrandone con gran lusso di documenti e di cifre la giustezza; dimostrando altresì che la parte del padre non era mai esistita fuorchè nella fantasia dello zio don Blasco. Esistevano però le cambiali che egli aveva pagato; sua sorella doveva dunque sostenere la sua parte in proporzione del legato: a conti fatti, non le toccavano più di ottomila onze. Lucrezia accettò questa somma. Il testamento materno prescriveva poi che il principe dovesse pagarle gli interessi al cinque per cento; ma nei cinque anni trascorsi dalla morte della madre, non aveva egli mantenuto la sorella, di tutto punto, dandole casa, vitto, servizio, abiti, uso della carrozza, ecc., ecc.? Doveva egli sostenere del proprio queste spese? Se sua sorella fosse stata in bisogno, certo egli l’avrebbe raccolta in casa per l’affetto che le portava, ricordandosi che era dello stesso sangue. Ma ella aveva la sua roba: non era dunque giusto nè ella stessa poteva accettare che per cinque anni il fratello l’avesse mantenuta. Rifatto il conto, gli interessi delle ottomila onze rappresentavano appunto le spese del mantenimento; dunque non le toccava altro che il capitale. Lucrezia disse ancora di sì. Tutto parve così stabilito, ma all’ultimo momento il principe mise allo zio duca una nuova condizione:

— Io voglio regolare anche la situazione degli altri legittimarii. Avevano tutti ragione, o hanno torto tutti: non pare a Vostra Eccellenza logico e giusto? Giacchè dobbiamo metter mano alla carta bollata, bisogna uscirne in una sola volta. Ne parli Vostra Eccellenza agli altri e li metta d’accordo.

Chiara e il marchese non avevano le stesse ragioni per chinare il capo ai patti del principe, ma il momento era propizio per tentar d’indurre anche questi altri ad