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La capanna aerea 55

La cena fu magra quella sera, non avendo avuto tempo per procurarsi nemmeno delle frutta, ma s’accontentarono egualmente. Dopo quattro chiacchiere rizzarono la tenda in cima al pavimento della capanna e s’addormentarono profondamente.

Il loro sonno non fu interrotto da alcun avvenimento. Forse la tigre era ritornata, ma non osò assalire quell’abitazione che doveva avere, almeno di notte, un aspetto formidabile.

All’indomani, appena sorto il sole, si rimisero al lavoro con nuova lena. Non essendo però il mozzo necessario, avendo ormai issati sulla piattaforma tutti i bambù occorrenti, lo mandarono sulla spiaggia a far raccolta di ostriche e di granchi e possibilmente di uova d’uccelli, avendo scorto numerosi nidi di volatili scoglieri.

Durante il mattino, Albani ed il marinaio rizzarono i sostegni delle pareti e le traverse del tetto, il quale doveva essere a due spioventi, e prepararono anche un certo numero di tegole, spaccando a metà dei bambù di media grossezza.

Il mozzo intanto non perdette tempo ed aveva fatta un’ampia provvista di crostacei, di ostriche e anche di uova di uccelli marini trovate fra le rupi della costa. Aveva però portato anche varie specie di aranci chiamati dai malesi giàruk ed alcuni di quelli, grossi come la testa di un ragazzino, che vengono prodotti dal citrus docunanus e che in quelle regioni sono conosciuti sotto il nome di buâ kadarigsa.

Il lavoro proseguì con alacrità anche nel pomeriggio. Il veneziano e il marinaio coprirono il tetto colle tegole di bambù, sovrapponendovi delle larghe e lunghe foglie di banani, recate dal Piccolo Tonno, quindi alzarono le pareti intrecciando giovani canne e foglie, ma che si riservarono più tardi di rinforzare con bambù più resistenti per potere, nel caso, far fronte anche a un attacco violento, sia da parte degli animali come degli uomini.

Rimaneva da costruire la cinta, ma non essendo pel momento necessaria, decisero di innalzarla in tempi migliori