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30 Capitolo quinto

brillavano due occhi grandi, rotondi, fosforescenti, i quali lo fissavano in tal modo che pareva volessero affascinarlo.

Il marinaio era coraggioso, ma nel trovarsi dinanzi a quel mostro misterioso, fra quelle semi-oscurità, colle onde che gli urlavano intorno minacciando di rovesciarlo e con quel braccio che lo stringeva già con grande energia, si sentì rimescolare il sangue e rizzare i capelli.

— Signor Emilio!... — urlò con voce strozzata.

— Che cosa avete? — chiese il veneziano, che nulla aveva potuto vedere, trovandosi ancora indietro.

Il marinaio non potè rispondere. Quel braccio lo stringeva in modo da soffocarlo e alle reni gli faceva provare un dolore così acuto, come gli si succhiasse il sangue a forza.

Non si era però smarrito d’ animo. Facendo uno sforzo disperato, trasse il coltello dalla cintola e con un rapido colpo tagliò netto quel membro dotato di forza straordinaria.

Il veneziano correva allora in suo aiuto, tenendo ben stretta in pugno la scure. Con un solo sguardo vide subito con quale formidabile avversario avevano da fare.

— Indietro! — urlò.

Il marinaio girò sui talloni lanciandosi verso l’apertura, ma due altre braccia lo afferrarono cercando di sollevarlo, mentre altre tre piombavano sul suo compagno.

— Ah!... Canaglia! — urlò Albani, furibondo.

Non badando che alla propria rabbia, si era scagliato a corpo perduto contro quei due grandi occhi che brillavano nell’oscurità, menando colpi disperati, mentre il marinaio agitava pazzamente il coltello percuotendo a destra ed a sinistra.

A un tratto si sentirono inondare da una scarica di liquido denso e che tramandava un acuto odore di muschio, mentre le braccia che li stringevano cadevano inerti.

Mezzo soffocati e acciecati, guadagnarono a tentoni l’uscita, presso la quale si teneva il mozzo, che urlava come un ossesso.

— Fulmini di Genova! — esclamò il marinaio, correndo a tuffarsi nelle onde. — Che m’abbia acciecato?...