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I segnali fra l’isola e lo scoglio 229

le fiamme. Il cono era ormai interamente illuminato e doveva essere visibile ad una grande distanza. Anche sull’isola però i fuochi proiettavano una viva luce, spiccando nettamente sul fondo oscuro del cielo.

Per due ore i naufraghi ed il mozzo continuarono a scambiarsi segnali; poi da una parte e dall’altra i falò si spensero. Ma nè Albani, nè Enrico, nè il maltese pensarono a dormire, nè ad abbandonare la vetta del cono, sperando di veder apparire sulla spiaggia dell’isola qualche altro fuoco.

Aspettavano ansiosamente l’alba, certi di vedere il mozzo navigare verso di loro con qualche zattera; ma pareva che quella notte fosse eterna e che le tenebre non volessero andarsene.

Anzi il tempo minacciava di mandare a male le loro speranze, poichè il cielo tornava a coprirsi di pesanti nuvoloni come se volesse far scoppiare un nuovo uragano, mentre la brezza aumentava soffiando, di quando in quando, con una certa violenza.

Se il mare tornava a montare, Piccolo Tonno non avrebbe certo potuto accorrere tanto presto a liberarli da quella prigionia, che ormai tutti trovavano insopportabile.

Verso le tre del mattino, il tuono cominciò a brontolare fra le nubi, mentre alcuni lampi solcavano il cielo verso l’est. Il mare già cominciava a muggire contro le spiagge dell’isolotto e sui frangenti.

— Mille milioni di folgori! — esclamò Enrico, furioso. — Che non ci lascino più, questi dannati uragani!

— Forse sarà l’ultimo della stagione, — disse Albani.

— L’ultimo o il penultimo, verrà ad impedirci la partenza.

— Purtroppo, Enrico.

— Ah! Se Piccolo Tonno si affrettasse!

— Non oserà avventurarsi tra i frangenti e i banchi prima che sorga l’alba. Armiamoci di pazienza e aspettiamo. —

Si accoccolarono dietro una rupe per mettersi al riparo dal vento, che soffiava con grande violenza su quella vetta isolata e attesero l’alba, tenendo gli sguardi fissi sull’isola.