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222 Capitolo trentunesimo

tutte le sere questo fuoco, finirà forse col persuadersi che si cerca di attirare la sua attenzione. Orsù, accendiamo gli sterpi. —

Radunarono sulla più alta cima del cono le legna portate e le accesero. Una grande fiammata si alzò subito, lanciando in aria lembi di scintille che il venticello notturno spingeva sul mare come tante minuscole stelle.

L’antico vulcano pareva che fosse risvegliato dal suo sonno secolare. I suoi fianchi, illuminati da quel falò che il vento ravvivava, parevano essersi coperti di lave ardenti, mentre il mare tutto all’intorno, si tingeva di riflessi sanguigni.

Quel vivo chiarore, che spiccava nettamente sul fondo oscuro del cielo e sui flutti, non doveva passare inosservato al mozzo, malgrado la notevole distanza che separava lo scoglio dalle sponde settentrionali dell’isola.

Il falò per un quarto d’ora scintillò fra le tenebre; poi non più alimentato si abbassò lentamente, finchè si spense del tutto.

I naufraghi, ritti sulla più alta punta, guardavano sempre verso nord-est, sperando di vedere il punto luminoso a ingrandirsi; ma invece tutto a un tratto scomparve.

— Piccolo Tonno non ci ha compresi, — disse Enrico. — Forse si sarà invece spaventato.

— È probabile, — rispose Albani; — ma finirà col persuadersi che questo fuoco è un segnale.

— Ripetiamolo, signore.

— È inutile, Enrico. Piccolo Tonno deve aver scorto questa luce e noi dobbiamo economizzare le piante che sono così scarse su quest’isolotto. Anche mantenendo il fuoco acceso tutta la notte, non riusciremmo a persuadere il mozzo che è un segnale di pericolo.

Ripetendolo per parecchie sere e non vedendoci ritornare, forse s’immaginerà che siamo noi che chiediamo aiuto.

Scendiamo, amici, e andiamo a dormire. —

Essendo inutile vegliare, non avendo da temere assalti da parte di nessuno, ed essendo assai stanchi, non avendo dor-