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182 Capitolo ventiseesimo

rono ancora i bambù che fornirono a loro il legname necessario e di facile lavorazione.

Tre giorni dopo, il veneziano e i suoi compagni si mettevano al lavoro.

Mentre il mozzo manteneva un fuoco infernale attorno al tronco, carbonizzando lentamente la parte che non era necessaria, il veneziano e il marinaio maneggiavano la scure e la pesante sciabola del pirata per spianare la parte superiore del colosso.

Ottenuto lo spianamento, ricorsero anche loro al fuoco, accumulando grandi quantità di carboni accesi, i quali, a poco a poco, distruggevano le fibre interne del durion che poi venivano accuratamente livellate.

Dodici giorni furono necessari per scavare l’albero, altri tre per tagliare la prua e altrettanti per la poppa.

Il 28 ottobre collocarono le panchine e l’albero, il 29 il timone venne messo a posto, e il 30, alle dieci del mattino, la scialuppa venne varata nella piccola baia, fra gli hurrà dei due marinai.

Quell’imbarcazione misurava nove metri e poteva stazzare sei tonnellate. Era un po’ pesante, ma galleggiava benissimo e sotto vela doveva filare molto bene.

— Diamole un nome, signore, — disse il marinaio, prima di alzare la vela.

— Le daremo un nome che ricordi la nostra patria lontana, — disse il veneziano.

Si levò il cappello di fibre di rotang e con voce commossa gridò:

— Viva la nostra Roma!...

— Viva la Roma!... Hurrà!... hurrà!... hurrà!... — urlarono i marinai, scoprendosi il capo.

— Su la vela, — disse Albani. — Alla barra, Piccolo Tonno. —

Il pennone fu issato sull’alberetto, portando in alto la vela, la quale si gonfiò sotto la brezza del nord-est. Il marinaio legò la scotta, e il mozzo mise la barra all’orza.