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Miele e patate dolci 97

fuggivano rapidamente appena scorgevano i due naufraghi, celandosi nei più fitti nascondigli della foresta.

Si scorgevano bande di ducs, scimmie colla coda lunga, la faccia piatta, i piedi neri e le orecchie invece color carne viva; delle lawados dalla faccia priva di pelo, color rosso fino a metà, colla testa coperta da una specie di parrucca fatta di peli grigiastri e molto folti; delle scimmie dal naso lungo e grosso e parecchie altre che il veneziano non poteva ben distinguere perchè fuggivano troppo rapidamente.

Alle quattro, mentre stavano per riposarsi all’ombra d’un arecche, il signor Albani additò al compagno una pianta poco alta, munita di larghe foglie d’un bel verde, dicendo con voce allegra:

— Ecco una scoperta preziosa. Finalmente avremo una piantagione!...

— È una pianta di tabacco, forse? — chiese il mozzo. — Quale fortuna per Enrico, che non sogna che pipe e sigari!...

— Non è tabacco, ma qualcosa di meglio: scava! —

Piccolo Tonno estrasse il coltello e si mise a scavare la terra attorno alla pianta, con infinite precauzioni. Poco dopo metteva allo scoperto un tubero assai grosso, pesante un buon chilogrammo e che rassomigliava ad un pomo di terra.

— Cos’è questo? — chiese egli, sorpreso.

— Un ubis, — rispose Albani.

— Non vi comprendo.

— Una patata dolce.

— Lave del Vesuvio!... Una patata!...

— E delle migliori, ragazzo mio.

— La metteremo a cucinare sotto la cenere.

— Niente affatto, goloso. La conserveremo, dissoderemo un pezzo di terra e fra tre o quattro mesi faremo la nostra raccolta.

— Sperate di trovarne altre?...

— Ne sono certo, Piccolo Tonno. Avanti, e giriamo intorno gli sguardi. —