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Chi sfregiò il viso del Grisoni? Non certamente Dembowsky, perchè quando il Grisoni cadde esisteva una sola ferita, quella del petto.

Chi traversò la mano sinistra del povero Grisoni, se quando cadde morto non era ferito che al petto? Gli autori di tanta nefandità chi poterono essere, se non De Pertzell e i suoi amici, per aggravare la responsabilità del Dembowsky, o per far credere che veramente il Grisoni era caduto da cavallo?

Il cadavere, squarciato dai medici per l’autopsia, vien ricucito, lo si veste di una camicia di seta bianca e con pantaloni neri, e ricoperto il collo con un fazzoletto di seta nero e le mani con guanti bianchi, viene dall’amico suo, De Pertzell, composto nella bara e alla sera del 15 marzo, salutato dagli onori militari, vien calato nella sepoltura nel cimitero di Lodi.


Qui cedo la parola al cav. R. Barbiera, che pubblicò nel Corriere della Sera del marzo 1898 un lungo articolo su questo scontro fatale.

«L’imperatore Francesco I vien tosto informato del triste avvenimento, del quale tutta Milano parla commossa; e Sua Maestà ordina al Senato del Supremo tribunale di giustizia «d’aver cura che l’affare venga trattato con tutto zelo ed esattezza e sia con tutta sollecitudine condotto a buon termine».

Il Torresani sguinzaglia i suoi segugii alla ricerca dell’uccisore e dei padrini borghesi, ma troppo tardi! Tanto il Dembowsky, quanto il conte Belgiojoso, che il Majnoni e il Resta, s’eran dati immediatamente alla fuga in Svizzera, e (come osserva il barone di Scheeburg, incaricato dell’istruttoria del processo), non v’è una legge, o concordato, che obblighi il governo elvetico ad espellere e rimandare i profughi rei e correi di duello; in Francia, poi, il duello non è neppur «contemplato» dal codice. Nel codice austriaco del 1810, invece, l’uccisione in duello importa la pena del carcere duro da dieci anni a venti.