Pagina:I Cairoli delle Marche - La famiglia Cattabeni.djvu/45


— 40 —

Attorno alla barricata si stavano placidamente accampati a centinaia i militi del Battaglione Cattabeni e del drappello Vocchieri; quando tra la nona e decima ora parve a taluno vedere dal lato di Capua, lungo la via che si distende sulla pianura sottoposta a Caiazzo un lontano luccicare che dava sospetto dello avanzarsi di gente armata.

Il Comandante Cattabeni ed il Vocchieri dal luogo più elevato drizzano ben fiso lo sguardo a parte a parte. Essi ordinano alle trombe di suonare a raccolta. Grossa colonna di Regi s’avanzava a Caiazzo.

La piccola schiera dei difensori, che coi nuovi arrivati non contava più di novecento uomini, già tutta in armi si stava intenta e con l’animo sospeso, non essendo mai privo d’angustia e di sollecitudine lo attendere a pie’ fermo l’avanzarsi delle truppe nemiche ed il momento dell’affrontarvisi.

Dacché il Volturno fattosi grosso e rigoglioso, in conseguenza delle impetuose pioggie cadute nella notte precedente, ci separava dall’armata del Garibaldi, non potendo sperarsi altro soccorso, ivi bisognava pugnare da forti — e da forti quei valorosi giovani non fecero atto fino a che le sentinelle non diedero l’allarme.

La spada nuda del Maggiore Cattabeni agitata attraverso i raggi del sole pareva mandare — e mandò — vivissimi lampi di luce. Gli occhi di tutti erano rivolti a lui, sperando ognuno nel suo maraviglioso valore.

Al fischiar delle prime palle a centinaia, in un medesimo punto, s’incrociano i colpi di fucilata. Ad ogni scarica delle artiglierie le case tremavano, gli usci si scotevano, i cristalli delle finestre si stritolavano. Il fragore aumentava e col fragore la strage. I prodi giovani, scoperti dalla cintola in su, combattevano con eroica prodezza da quella barricata, che fu nella funesta giornata validissimo riparo; e quando i più sventurati cadevano percossi dalle fucilate, e dalla mitraglia, le lamentevoli grida loro ne facevano avvertiti i combattenti, ai quali il denso fumo toglieva la vista del danno.

La memoria delle imprese passate animava G. B. Cattabeni ad apparecchiarsi agli estremi conati. Egli aveva avuto la costanza di starsi in mezzo agli scoppi delle artiglierie, fra i vari e orribili aspetti della morte, fra tante cause di pietà e di furore aspettando che la fortuna gli parasse l’occasione d’un impetuosa destrezza.

Già da più d’un ora versavasi sangue, e molta angustia apportava un cannone impostato in mezzo alla via, di fronte alla barricata, ed il Maggiore Cattabeni vedendo cadere tanti suoi militi, e parendogli duro lo starsi fermo a tanto strazio, sollecita, mentre più infuria la pugna, gli animosi a lasciare la barricata ed avanzarsi ad assalto — ma anche i più audaci, sbigottiti dal danno che reca il fuoco nemico, vacillano.