Pagina:I Cairoli delle Marche - La famiglia Cattabeni.djvu/42


— 37 —

politane non s’avanzava, neppure però retrocedeva; e già scarseggiando ai Cacciatori Bolognesi, dopo due ore di fuoco le munizioni, il Comandante Cattabeni invitò i più coraggiosi a seguirlo sul colle.

Primo a collocarsi in posizione fu il sergente Matteo Manzi di Savignano, e formatosi intorno a Giovambattista un gruppo di diecisette più animosi e più fedeli a lui, movemmo a gran passo sul colle ed i combattenti assaliti a petto a petto si ritrassero in fuga.

Tale fu il vantaggio del 19 settembre primo giorno d’arrivo nostro a Caiazzo, e che pur segnò la data storica di quattro contemporanei avvenimenti — la dimostrazione d’attacco a Capua — l’occupazione di Caiazzo e il primo combattimento di difesa — la capitolazione di Loreto — il sangue di S. Gennaro consultato a favore d’Italia, come oracolo dell’indovino, più saggio di tutti i veggenti, sulle cose che erano e sarebbero per essere.

Il miracolo in tre minuti operatosi, fece risuonare il tempio d’acclamazioni, di grida devote ed entusiasmi per Garibaldi, quantunque i mestatori mormorassero ai lazzaroni, doversi interpetrare il miracolo, che il Re sarebbe ritornato a Napoli.

Fatto compire il portentoso effetto, e tratto a favore l’auspicio popolaresco, Garibaldi, che fino dal giorno precedente era ritornato da Palermo, se ne partiva in quella stessa mattina del 19 per Caserta.

Grande era stata l’allegrezza degli animosi giovani, per essere riusciti a porre in fuga il reggimento della milizia borbonica, provatosi a rientrare in Caiazzo. Alcuni, dopo aver discacciato i Regi, scendendo poi giù per l’opposta costa del superato uliveto, rinvenuti alcuni borbonici ricovratisi in un campestre casolare, e fattili prigionieri, trassero avanti il Comandante i miseri fuggitivi, che tremanti di paura non avevano più potere di proferire parola; ma egli dicendo loro: che tutti gl’Italiani, amandosi come fratelli, dovevano tutti affratellarsi d’uno stesso amore per l’Italia, li mandò a rifocillarsi rassicurati e contenti.

Una vedetta nostra giaceva morta al posto assegnatogli, colpita da una palla, dopo aver dato il segnale d’allarme. Lo sfortunato volontario era nato a Roma, avea nome Angelo, e non ne ho più a mente il cognome.

Distesi al suolo giacevano morti sul colle degli ulivi alcuni Regi. M’avvicinai a ciascuno di loro. Avevano tutti la bocca annerita dal ripetuto strappo delle cartuccie, con le quali avevano caricato e fatto fuoco. Uno di essi era agonizzante, e bruciato dall’arsura, alla scoperta degli accesi raggi del sole, che dalla sua sommità maggiore piombavali sul morente. Volò il pensiero mio alla povera madre, e per sentimento di pietà volli appressare alle sue labbra una fiala d’acqua; il sitibondo ai primi sorsi morì. Destino avverso alla patria nostra, che i fratelli dovessero uccidere i fratelli!…