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debilitate gambe frenato me aviava. Ma pur ancora trepidato decentemente di non pervenire in tale loco. Ove fortuito l’intrare, et il mio properato advento in patria incognita, non si sarebbe stato licito, ma nephario auso et confidentia, molto più che l’ingresso dilla magnifica porta. Et cusì cum il pecto assiduamente pulsatile et cum animo perpesso tra me diceva. Che cosa hogimai suademe retro ritornare? Non è quivi più facile il fugire et libera evasione? Et molto meglio io penso la dubitata vita in questa luce sub divo exponere, cha nelle caece tenebrositate crudelmente perire? Né però quasi ad quella apertura et exito io non saperei remeare. Et in momento dal profundo dil tristo core trahendo gli gemitosi sospiri, nella tenace reminiscentia replicava quanto piacere et dilecto in puncto haveano gli sensi mei perdito, imperoché quella operatura era piena di meraveglia, et di stupore. Ricogitando per quale modo i’ fui malamente privo. Imaginantime degli aerei Leunculi dil tempio dil sapientissimo iudaeo, gli quali per spaventare inducevano gli homini in oblivione.

Adunque per tale simigliancia che il dracone ad me facto havessi quasi dubitai. Che tante elegante et meravegliose facture, et stupendi cogitati non indicantise humane, di relato dignissime, io havendole diligentemente mirate, hora le devesse concedere dall’asucta memoria levemente fugire. Et che io per tale evento non le sapesse digestamente narrare. Diceva, per certo questo non è. Né non mi sento passione lethargica. Ma io servabile tuto pure ne lo intellecto et memorativa recentissimo tengo collocato, et depicto indelebile. Et realmente viva et non ficta quella immane bellua era, et tanto spaventevola, raramente tale viduta dagli mortali Heu me quale non vide Regulo. Et di lei reminiscente, gli demissi capigli di novo salivano, et io il grado pernice accelerava. Poscia in momento in me ritornando diceva. Quivi sencia dubio (sì come accortamente arbitro per la benignitate dil praesente sito) habitare non debino si non gente humana. Ma più praesto forsi divi spiriti et heroi sono quivi tutelarii, et diversorio di Nymphe, et degli antichi Dei. Pertanto l’appetito suasivo agevolemente il frenato grado provocando exhortava al incepto viagio. Là onde io come captivato dagli perseveranti stimoli, cum feroce animo proposi di sequire dovunque la ludibonda fortuna cadesse, ancora tabescente.

Considerando adunque la bella et amoena patria et gli feraci agri et fertili campi et il dilecto di quelli coniecturando summamente laudai tale invitatorio, et ad spalle reiecta qualunque trepidante refrenatione moesto pavore alquanto intrai. Ma prima la divina luce invocata, et gli prosperi Genii, che ad questo mio ingresso guidando se praestasseron praesenti, et alla mia erratica Proselytia Comiti, et dil suo sancto ducato largitori.