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iniqua voluntate cessarà, et la granditate del mio dolore. Vale. Per questa via dunque dava opera sedulo di ridure et humanare et essa dolcemente blandire, et di mitigare, solicitando la asperitudine ricevuta dalla iniciata opera ardua et periculosa, ma né essa, né il perfido amore, non consentivano alle mie suasive parole cum alte et iurate sponsione palesemente monstrandoli nuto et sembiante delle mie di omni dolcecia dulcissime fiamme, ella al incontro cum requisita reciprocatione amantime. Et cum omni industriosa arte, et solerte cogitato me sforciava, di accenderla di quel verace, nudo, simplice, et optimo affecto, et amoroso foco, nel quale sencia alcuno rimedio continuamente, quale Pyraulo, me nutriva misello. Et oltra di questo, cum essa infinite fiate, cum la mente fingeva di havere lepido colloquio, et ratiocinandogli audaculo immixti saepicule gli cruciabili eiulati diceva. O Nymphatula mia di core inhumano et ferino, di natura mollicula puella, più che solido Chalybe, et più che Murice saxo durissimo, più tenace che retinente Harpagone, più obstinata che cardinato Tigno. Più mordace di rapiente Gampso, et molto più delle crudele et foedante Harpyie del mio core rapace. Como poli perseverare in tanta duritudine? et impietate? più impia di Mitridate, più saeva di Alchameo, più ingrata di tanta dilectione, che Paride verso Oenone, agli mei precamini, removi dunque questi iniqui abiectamini dal tuo core Nympheo, et questa nota vulgare, et assentissi propitiata alle mie supplice petitione, concedi Signora mia, che io consequiti la desiderata quiete, permetti penetrare l’auditorio tuo, gli mei cruciabili suspiritti, consenti agli mei ardenti amori, et molte et a queste simigliante querimonie et instantie perfuncto, unoquantulo non valeva di movere tale agitamento dal mio continuo dolore. Il quale in me presso, tanto era nelle viscere tutte occupante, et hae tanto alte germinate nel core, le sue amarissime radice, che per altra arte, né via, né modo, si non per la sua speranza praecipua extirpare giamai non so, né posso, né valeo. Et meno proficue erano ancora le gemebonde voce, d’intorno al superbo suo palatio vanamente disperse, più sorda di Icaro, agli moniti paterni, et più displicibile che Cauno alla disperata Biblide. Abominatrice del dolce amore, supersedendo alle false, et consuefacte opinione, nella tenera et virginea aetade solite di indurarse. Et ardua cosa è lassare quello che alcuna fiata nel animo è impresso, enervare non facilmente si pole. D’indi dunque fue lo exordio et origine, che io simplicemente irretito, et complicato, in queste vilupante rete, et fallace decipulo, et in questi subdoli, caduci, incerti, fugaci, et momentanei laquei, et argutie d’amore mancipato. Che sotto questa molesta Tyrannide, et conditione, et misera servitudine subiugato et candidato, trovai uno solo piacere et oblectamento adlubente di amare extremamente essa, né non repugnai alle volante E iii