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AMOR VINCIT OMNIA

Il divino Nauclero io cum riverenti, et cum decenti risguardi volentilo volentiera, cum omni possibile conato speculare, il disproportionato obiecto, il mio debile intuito aconciamente non pativa. Ma le gene connivando, per questo modo alquanto il divino fanciullo pluripharia comprehendeva. Alcuna fiata mi appareva di gemino aspecto. Talhora di triplice, et ancora tal fiata se monstrava cum infinite effigie. Il quale cum Polia lo itinerario nostro facevano foelice, beato, et glorioso. Et per questa via lo amoroso, et proreta Cupidine ventilante le sacre penne, dille perpete ale, nelle quale Canens amante di Pico solaciavase, più che oro obrizo fulgevano di vario, et periucundo coloramine, sopra gli flucticuli in circulo rotante. Più bello et più gratissimo, che il crystalino trigonio columna di Euclide ad gli ochii aproximato dimonstra. Hora le nautice Nymphe deteron principio cum suavissima nota, et cum celica intonatione, da l’humana totalmente devariata, et ultra il credere cum ragione cantionica, di cantare et uno concento dolcissimo, cum voce consona et melodia teretigiare. In tanto che dritamente dubitai di excessiva dolcecia ischiantare, perché quasi dil suo loco dimoto sentiva il resultante et ferito core, et di dolcecia ad me parea ragionevolmente quello per gli mei labri exulare, et elle sequente cum vibrante lingule, nella sonora uvea rompevano crispulando geminando, et triplicando in una le brevissime cromaticule, overo accodate notule, et prima intercepto due a ddue. Poscia trine et trine. Poi ad quatro, ultimo tute sei, gli rosei labrunculi tremuli moderatamente aprendogli, et gratiosamente iungendoli, proferivano gli modulanti spiriti, cum emusicata proportione, cum voce mellea nel caldo core syncopata et stanche prolatione d’amore. Voce agli loci sospirante, suavissimamente gutturando, da fare in oblivione ponere il naturale bisognio et negligere, cum fidici instrumenti canticulavano le dolcece, et qualitate di amore, gli faceti furti dil superno Iove. Le solatiose caldecie dilla sanctissima Erothea, le lascivie dil festevole Baccho. Le foecunditate dilla alumna et flava Cerere. Gli saporosi fructi di Hymenaeo, cum versifico modo exprimendo et rithmiticamente proferendo, et melos emmetron. Per la quale cosa, cum la mente devia firmissimamente teniva tale non essere stato quel dulcisono che Euridice portata nelle volucre trige ad l’infere et s iii