Pagina:Guittone d'Arezzo – Rime, 1940 – BEIC 1851078.djvu/266

262 sonetti ascetici e morali

229

Umiltá lo intimorisce nel dir le lodi che la ragione
e il desiderio gli suggeriscono.


     Vogl’e ragion mi convit’e rechere
in voi laudar, valente e car valore;
ma picciul mio e gran vostro savere
e troppo umilitá mi fa temore.
     5Lo picciul meo è non bene accompiere,
o’ la ragion de vostro orrato onore;
vostro grand’è, ch’omo saggial d’odere:
chi lauda in faccia lo fragella in core.
     E umiltá, cui è propio biasmare
10e vil tener lo suo posseditore,
sí come vil alt’om caro stimare,
     temo vi metta laude in disamore;
perch’io mi taccio e vi lasso laudare
a quel sommo etternal bon laudatore.

230

A Meo Abbracciavacca, per rallegrarsi del suo ritorno.


     Lo nom’al vero fatt’ha parentado:
le vacche par che t’abbian abracciato,
over che t’han le stregh’amaliato,
tanto da lunga se’ partit’, o’ vado.
     5Zara dirieto m’ha gittato ’l dado:
ciò non serea, se l’avesse grappato.
Allegro sono, Meo, ché se’ tornato;
se pelegrin fusti, ciò m’è a grado.
     Non credo nato fusti da Pistoia,
10ma da Pistoia fu la tua venuta,
sí tardo movimento far ti sento.
     Natura ten pur di mulin da vento:
 ’n un loco mostra sempre tua partuta;
chi sol è a sé, non vive senza noia.