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da tanto pericolo, pensarono di affidare al Ferrucci loro concittadino, che allora comandava a Volterra le milizie della repubblica, la somma delle cose, e la loro difesa, nominandolo per pubblico decreto, Commissario generale di guerra. Nel che quanto bene corrispondesse, lo mostrarono gli avvenimenti. Perchè per ardimento, per carità di patria, per prontezza d’ingegno, per animo indomito, e per bravura nell’armi, a niun capitano secondo, abbandonava incontanente Volterra, dopochè l’ebbe difesa dall’assedio del Marchese del Guasto e da Fabrizio Maramaldo; e per liberare l’assediata Firenze a grandi marcie si era diretto alla volta di Pisa.

Quivi, appena riavutosi da una grave malattia di tredici giorni, e raccolto per via un esercito, che sommò a San Marcello, di circa 3000 fanti, di 600 cavalli, e di 20 trombe da fuoco: capitanati i primi da Niccolò Strozzi, da Alessandro Monaldi, da Francesco Scuccola, e da Giov. Maria Pini; e i secondi dal conte Gherardo della Gherardesca: si fornì di munizioni da guerra e di vettovaglie, e a grandi marcie attraversò il territorio Lucchese per incamminarsi in Val di Nievole. Ma il Maramaldo che co’ suoi Calabresi a Volterra da lui fu battuto non solo, ma insultato, e fattogli impiccare il trombetta che gl’intimava la resa; profittando dei tredici giorni di sua dimora in Pisa, non solo seguitò dappresso l’esercito del Ferrucci, ma fattosi innanzi gli barricò il passaggio sulla Pescia minore al Ponte di Squarciaboccone. Per la qual cosa il Ferrucci