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libro decimonono - cap. ii 211

quattrocento cavalli e mille fanti de’ viniziani, e Anibale Pizinardo castellano di Cremona, con [trecento] fanti, il quale vi era andato per mantenere a divozione del duca il paese di lá dal Po, molto negligentemente si guardava, una notte allo improviso, con le scale da tre bande, non essendo sentito da i soldati, la prese di assalto. Restò prigione Pietro da Longhena e uno figlio di Ianus Fregoso. Andò poi Antonio de Leva a Biagrassa, e quegli di dentro aspettati pochissimi tiri d’artiglierie si arrenderono; e volendo poi andare ad Arona, Federigo Buorromei si accordò seco, obligandosi a seguitare le parti di Cesare.


II

Arrivo di milizie tedesche in Italia. Assalti ed assedio di Lodi. Ritorno di quasi tutti i tedeschi in Germania; lentezza delle operazioni dei veneziani e dei francesi. Vane istanze dei collegati presso il pontefice perché si dichiari per loro. Brama del pontefice che sia restituito alla sua famiglia il potere in Firenze.

Nel quale tempo Brunsvich, partito da Trento, aveva, il decimo dí di maggio, passato l’Adice con l’esercito, nel quale erano diecimila fanti, seicento cavalli bene armati, e tra loro molti gentiluomini, e quattrocento moschetti, con le zatte, e ributtato dalla Chiusa era sceso in veronese: e ancora che, presentendosi molto innanzi la venuta sua, fusse stato trattato che San Polo andasse all’opposito, nondimeno, non si usando maggiore diligenza in questa che nelle altre provisioni, erano i tedeschi in Italia innanzi che San Polo fusse in ordine di muoversi; il quale di poi fu necessitato a soggiornare molti dí in Asti, per raccôrre le genti e per la difficoltá delle vettovaglie, delle quali era, per tutta Italia ma in Lombardia specialmente, grandissima carestia. Né si poteva alle cose comuni sperare maggiore o piú pronto soccorso dal senato viniziano, il quale, se bene avesse affermato che l’esercito suo uscirebbe in campagna con dodicimila fanti, nondimeno il duca di Urbino, entrato in Verona, non pensava ad altro che