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volte al pontefice da cui avea ricevuti tanti benefici, né osservata la promessa fatta di non convenire senza suo consentimento; e nondimeno, in una lunga lettera che dipoi gli scrisse in sua giustificazione, riandate accuratamente tutte le cagioni che lo avevano mosso e tutte le scuse con le quali appresso a lui poteva difendere l’onore e il procedere suo, e il non avere disprezzato la divozione che, come a pontefice e come a suo benefattore, gli aveva, conchiuse che gli sarebbe piú difficile la giustificazione se scrivesse a uomini privati o a principe che misurasse le cose degli stati secondo i rispetti privati, ma che scrivendo a uno principe savio quanto in quella etá fusse alcuno altro, e che per la sapienza sua conosceva che e’ non poteva salvare lo stato suo in altro modo, era superfluo lo scusarsi con chi conosceva e sapeva quel che fusse lecito, o almanco consueto, a príncipi di fare, non solo quando erano ridotti in caso tale ma eziandio per migliorare o accrescere le condizioni dello stato loro.

Ma giá le cose dalle parole e da’ consigli procedevano a’ fatti e alle esecuzioni: il re venuto a Lione, accompagnato da tutta la nobiltá di Francia e da’ duchi del Loreno e di Ghelleri, moveva verso i monti l’esercito maggiore e piú fiorito che giá grandissimo tempo fusse passato di Francia in Italia; sicuro di tutte le perturbazioni di lá da’ monti, perché il re d’Aragona (il quale, temendo prima che tanti provedimenti non si volgessino contro a sé, aveva armato i suoi confini, e acciò che i popoli fussino piú pronti alla difesa della Navarra l’aveva unita in perpetuo al reame di Castiglia), subito come intese la guerra procedere manifestamente in Italia, licenziò tutte le genti che aveva raccolte, non tenendo piú conto della promessa fatta quell’anno a’ confederati di muovere la guerra nella Francia che avesse tenuto delle promesse fatte a’ medesimi negli anni precedenti.