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libro duodecimo - cap. xi 345

Parma e Piacenza, ora faceva altre petizioni acciò che, essendogli negata qualcuna delle cose dimandate, paresse che la necessitá piú che la volontá lo inducesse a unirsi con gli inimici del re, ora, diffidandosi che il re gli negasse cosa alcuna di quelle che non al tutto senza colore d’onestá poteva proporre, faceva risposte varie, ambigue e irresolute.

Ma erano usate seco da altri delle medesime arti e astuzie. Perché Ottaviano Fregoso doge di Genova, temendo degli apparati potentissimi del re di Francia e avendo da altra parte sospetta la vittoria de’ confederati per l’inclinazione del duca di Milano e de’ svizzeri agli avversari suoi, si era per mezzo del duca di Borbone convenuto secretissimamente col re di Francia, avendo, e mentre trattava e poi che convenne, affermato sempre costantissimamente il contrario al pontefice; il quale, per essere Ottaviano congiuntissimo di antica benivolenza a lui e a Giuliano suo fratello, e stato favorito da loro nel farsi doge di Genova, gliene prestò tale fede che, avendo il duca di Milano insospettito da questa fama disposto di assaltarlo con quattromila svizzeri, che giá erano condotti a Novara, e con gli Adorni e Fieschi, il pontefice fu operatore che non si procedesse piú oltre. Convenne il Fregoso in questa forma: che al re si restituisse il dominio di Genova insieme col Castelletto; Ottaviano, deposto il nome del doge, fusse governatore perpetuo del re, con potestá di concedere gli offici di Genova; avesse dal re la condotta di cento lancie, l’ordine di San Michele, provisione annua durante la sua vita; non rifacesse il re la fortezza di Codifá molto odiosa a’ genovesi, e concedesse a quella cittá tutti i capitoli e privilegi che erano stati annullati e abbruciati dal re Luigi; desse certa quantitá di entrate ecclesiastiche a Federico arcivescovo di Salerno fratello di Ottaviano, e a lui, se mai accadesse fusse cacciato di Genova, alcune castella nella Provenza. Le quali cose quando poi furno publicate non fu difficile a Ottaviano, perché ciascuno sapeva che meritamente temeva del duca di Milano e de’ svizzeri, giustificare la sua deliberazione. Solamente gli dava qualche nota lo avere negato la veritá tante