Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. III, 1929 – BEIC 1846967.djvu/195


libro decimo - cap. xiii 189

leria, fu costretto Pietro Navarra dare il segno a’ suoi fanti; i quali, rizzatisi con ferocia grande, si attaccorono co’ fanti tedeschi che giá s’erano approssimati a loro. Cosí mescolate tutte le squadre cominciò una grandissima battaglia, e senza dubbio delle maggiori che per molti anni avesse veduto Italia: perché e la giornata del Taro era stata poco altro piú che uno gagliardo scontro di lancie, e i fatti d’arme del regno di Napoli furono piú presto disordini o temeritá che battaglie, e nella Ghiaradadda non aveva dell’esercito de’ viniziani combattuto altro che la minore parte; ma qui, mescolati tutti nella battaglia, che si faceva in campagna piana senza impedimento di acque o ripari, combattevano due eserciti d’animo ostinato alla vittoria o alla morte, infiammati non solo dal pericolo dalla gloria e dalla speranza ma ancora da odio di nazione contro a nazione. E fu memorabile spettacolo che, nello scontrarsi i fanti tedeschi con gli spagnuoli, messisi innanzi agli squadroni due capitani molto pregiati, Iacopo Empser tedesco e Zamudio spagnuolo, combatterono quasi per provocazione; dove ammazzato lo inimico restò lo spagnuolo vincitore. Non era, per l’ordinario, pari la cavalleria dell’esercito della lega alla cavalleria de’ franzesi, e l’avevano il dí conquassata e lacerata in modo l’artiglierie che era diventata molto inferiore: però, poi che ebbe sostentato per alquanto spazio di tempo piú col valore del cuore che colle forze l’impeto degli inimici, e sopravenendo addosso a loro per fianco Ivo d’Allegri col retroguardo e co’ mille fanti lasciati al Montone, chiamato dal la Palissa, e preso giá da’ soldati del duca di Ferrara Fabbrizio Colonna mentre che valorosamente combatteva, non potendo piú resistere voltò le spalle; aiutata anche dall’esempio de’ capitani, perché il viceré e Carvagial, non fatta l’ultima esperienza della virtú de’ suoi, si messono in fuga conducendone quasi intero il terzo squadrone; e con loro fuggí Antonio De Leva, uomo allora di piccola condizione ma che poi, esercitato per molti anni in tutti i gradi della milizia, diventò chiarissimo capitano. Erano giá stati rotti tutti i cavalli leggieri e preso il marchese di