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libro terzo — cap. viii 257

che andassino a parlare seco in qualche terra del Piemonte; ma essendo le forze sue da disprezzare né corrispondendo gli effetti all’autoritá del nome imperiale, né alcuno di essi consentí di andare a lui, né dell’impresa d’Asti v’era speranza che avesse a succedere prosperamente. Fece similmente instanza che andasse a lui il duca di Ferrara, il quale sotto nome di feudatario dello imperio possedeva le cittá di Modona e di Reggio, offerendogli per sicurtá sua la fede di Lodovico suo genero; il quale ricusò di andarvi, allegando cosí convenire all’onore suo, per tenere ancora in diposito il castelletto di Genova. Però Lodovico, il quale stimolato dalla sua antica cupiditá e dal dispiacere che Pisa, tanto desiderata da sé, cadesse con pericolo di tutta Italia in potestá de’ viniziani desiderava sommamente di interrompere questa cosa, confortò Cesare che andasse a quella cittá; persuadendosi, con discorso pieno di fallacie, che i fiorentini, impotenti a resistere a lui e alle forze de’ collegati, si rimoverebbono per necessitá dalla congiunzione del re di Francia, né potrebbono ricusare di dare arbitrio a Cesare che, se non per concordia almeno per via di giustizia, terminasse le differenze loro co’ pisani; e che in sua mano si deponesse Pisa con tutto il contado: alle quali cose egli sperava con l’autoritá sua di fare consentire i pisani, e che i viniziani, concorrendovi massime la volontá di tutti gli altri confederati, non si opporrebbono a una conclusione la quale si dimostrava con tanto beneficio comune e onestissima per sua natura. Perché, essendo Pisa anticamente terra di imperio, pareva non appartenesse ad altri che a Cesare la cognizione delle ragioni di quegli che vi pretendevano; e deposta Pisa in mano di Cesare, sperava Lodovico, con danari e con l’autoritá che aveva con lui, che facilmente glien’avesse a concedere. Questo parere, proposto nel consiglio sotto colore che, poi che al presente cessava il timore della guerra [de'] franzesi, era da usare la venuta di Cesare per indurre i fiorentini a unirsi con gli altri confederati contro al re di Francia, piaceva a Cesare, malcontento che la venuta sua in Italia non partorisse effetto alcuno, e perché, avendo, per i concetti