Pagina:Guglielminetti - Le ore inutili, Milano, Treves, 1919.djvu/13


Il ritratto a pastello 5


denza cortese, a cui seguì ben presto un incontro e quando, poche settimane più tardi, il nuovo amico la pregò di venire ad ammirare il ritratto in una cornice e in un ambiente degni della bella opera d’arte e della bella opera umana ch’esso rappresentava, Ottavia Dimauro fu accolta in quell’appartamento lussuoso e misterioso, a terreno d’una villetta suburbana, dove ogni cosa era stata scelta e disposta con una sapiente cura d’amore.

Da allora ella vi era ritornata ogni settimana, vi aveva talvolta passato giorni e giorni, notti e notti, in quella completa libertà di esistenza che il suo stato di donna sola, separata da un marito ignobilmente vizioso, le concedeva.

— Io e quell’altra me stessa, lassù — diceva Ottavia, accennando al pastello chiuso nella sua cornice d’oro, — abbiamo passato qui dentro, in persona o in ispirito, quasi due anni e mezzo di vita, eppure mi accorgo in questo momento che, se le tue labbra, Dino, e le mie labbra si sono tante volte avvicinate, le nostre anime invece sono rimaste infinitamente lontane.

— Non è vero, non è vero. Perchè dici così? — mormorò egli corrucciato, afferrandola d’un tratto alla vita e piegandola riluttante verso di sè. — Non ti ho dato per oltre due anni tutto me stesso?