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96 è partita

da fare. La casa in disordine, i domestici che non conosco ancora, cento visite da restituire, cento da ricevere, e i thè e i teatri e i concerti. Anzi, bisogna che ti lasci subito, sono le cinque e m’aspettano.

Fuggì con un bacio affrettato, leggera come un uccellino dalle penne nere e dalla testa dorata e Fabio corse a guardarla ancora dalla terrazza fra i rami contorti della vite vergine ormai spoglia. La vide salire nell’automobile verde-cupo, dopo aver dato rapidi ordini al meccanico e scomparire all’angolo della via.

— È partita, — si ripeteva egli rientrando nello studio dov’era rimasto il profumo di lei come l’essenza di una cosa sfuggente e inafferrabile. — È partita. E quando, quando ritornerà?

Ella ritornò sempre più di rado e sempre più brevemente per un intero anno, finchè un giorno, dopo settimane e settimane che Fabio invano l’attendeva, ella gli capitò nello studio con un volto fosco, dove solo gli occhi brillavano d’ira e d’indignazione.

— Sai, zio, che cosa ho saputo? Guglielmo gioca, gioca ostinatamente tutte le notti da oltre due mesi e perde perde in modo da rovinarsi. Capisci? È orribile. Dimmi tu: che cosa posso fare?

Fabio si strinse lentamente nelle spalle guardando la nipote che cincischiava il suo fazzoletto di trina con le dita convulse, e in-