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Antonio Ranieri, l’amico intimo e sviscerato del Leopardi negli ultimi anni, non pareva però convinto di questa necessità delle rivelazioni private. Egli depositario di tanti segreti, tacque modestamente e stimò ciarlataneria grossolana tentare l’immortalità facendosi il dimostratore patentato delle debolezze e delle virtù di un uomo immortale. Tacque ed assistette sdegnoso a questa fiumana di libri, di opuscoli, di articoli, che contenevano ciascuno un brano del gran segreto. Si diceva che il Leopardi morendo lasciasse qualche cosa d’inedito e si incolpò il Ranieri di defraudarne la patria. Le più strane accuse furono susurrate contro una amicizia santa, e la pubblicazione dell’epistolario del Leopardi stesso dava credito alle mormorazioni, poichè il povero malato, scontento di tutto e di tutti, si lasciava andare a disconoscere persino tanta devota amicizia e chiamava odioso il soggiorno di Napoli. E il Ranieri tacque sempre, sicuro di sè e della sua coscienza, e finì anzi col non leggere nemmeno i libri dove si faceva l’autopsia del suo amico e della comune amicizia.

Ma la fiumana dei pettegolezzi ingrossò tanto, che al Ranieri toccò finalmente di parlare. La morte della sua adorata sorella Paolina, quella stessa che sostenne volontieri il santo martirio di esser infermiera del Leopardi, pare che non sia stata la cagione ultima del suo parlare. Infatti fin che vivono anche due testimoni di un grande avvenimento, possono costoro favellarne tra loro e sprezzare i profani; ma se ne sopravvive uno solo, che anzi vegga travisati