Pagina:Guerrazzi - L'asino, 1858, III.djvu/29


27

Tuttavolta io non taccio, come questa lode mi venisse con la petulanza consueta negata dall’uomo; non importa, che a temperarmi l’angoscia mi sovenne il pensiero non essere vissuta al mondo, Bestia illustre, intorno alla quale la invidia, a mo’ di ellera su la quercia, tenace e verde non si abbarbicasse. Nè l’onore della statua, nè la gratitudine del beneficio valsero a farmi immune dalla censura che cotesta invenzione non dovesse attribuirsi alla virtù, sibbene alla voracità mia, la quale spingendomi a spuntare i tralci della vite, operò sì che senza un merito mio schiudessi un campo all’ingegno umano di osservare gli effetti e cavarne poi quei vantaggi sommi che tutti conoscono: ed in prova del denigrare loro recano che quante volte mi attentai replicare lo insegnamento, altrettante fui rimunerato con le solite bastonate. Cotesta, io te l’ho detto le mille volte, non è ragione, imperciocchè tutto quanto toccò ai benefattori della umanità meno della forca fu bazza: anzi così apparve ordinaria la persecuzione contro i benemeriti di quella stirpe sciagurata, che il fiero frate Campanella durante la ventisettenne sua prigionia tentò investigarne le cause e l’espresse in certo suo libro adesso perduto, il quale s’intitolava così: — perchè gli uomini forniti di sapienza et virtù et benefattori dello humano genere incorrono in morte violenta data loro sotto presto di