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tare alla brigata certa novella che pareva esserle giunta di fresco. — Avete assapere, diceva l’ostessa, qualmente il principe Corsini ridottosi moggio moggio a casa raccolse intorno a sè tutta la famiglia, e dopo qualche sospiro, secondo corre la fama, così le favellò: — figliuoli miei, io vi ammonisco a mantenervi buoni nel timore di Dio, quantunque per questo io conosca che non ci sono mestieri conforti, ma sfuggite dal divenire santi, se pure non volete ridurvi a limosinare sopra uno scalino di Chiesa. — E quanto è vero che dobbiamo morire il principe ha ragione, perchè sapete un po’ voi quanto gli sia costata la canonizzazione del suo bisavo Andrea? Una bagattella di cento mila scudi. Caspita! Costano cari i santi. —

Veramente io confesso che la faccenda camminò per lo appunto così: un santo in casa faceva più danno di dieci mila Austriaci ausiliari; però egli è forza convenire, che se i Corsini cessarono di diventare santi, ciò fu per cagione di economia; se questa non gl’impediva, all’ora che fa possederemmo venti santi di casa Corsini, alla più trista una serqua, e ai tempi miei la stoffa per tagliarceli sopra non mancava di certo. Me poi persuasero a dimettermi dalla santità non mica pensieri cupidi o avari, bensì coscienza della pochezza mia ed il sentirmene indegno.

Però rinunziando al culto altrui, io feci