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prirono una fossa. Non parendo ai valentuomini testè ricordati ottenere credito abbastanza cercarono tutta l’antichità, e gli ammonimenti e supplicazioni loro si affaticarono rendere vie più autorevoli con le sentenze di Cicerone il quale scrivendo ad Attico così si esprime: — adesso vedi quanto più sottil cura io mi dia dello studio della lingua, che degli umani casi e di Pisone. — Nel terzo de Oratore, contro chi guasta la materna favella occorre una maledizione che appena contro colui, il quale tradisce la Patria, si potrebbe pronunciare maggiore: qual sia quegli che il patrio idioma vilipende e deforma, non oratore, non poeta, ma nè anche deve reputarsi uomo. — Più accesamente Plutarco afferma, la infamia di perdere la lingua superare assai quella di perdere la libertà. Santo Agostino anch’egli nella città di Dio dichiara peccato gravissimo contro la civiltà lasciare corrompere la lingua. Sentenze tutte, ch’ebbero ai tempi miei commento qualche volta favorito dalla fortuna, più spesso contrariato, ma sempre grande e magnanimo. Così Nicola I di Russia non pensò potere attutire mai l’anelito immortale dei Polacchi per la libertà della Patria se non istrappava dalle fauci di cotesto popolo la lingua; e vi si sbracciò smanioso con partiti in parte subdoli, in parte violenti, ma non ne venne a