Pagina:Guerrazzi - L'asino, 1858, II.djvu/153


151

peratori, nè a papi io detti in balìa le mogli e le figlie; tradimenti e spiagioni io non conobbi mai, puri sempre potei levare i miei zoccoli al cielo; quale mi vide il primo giorno del mondo mi trovò l’ultimo; di fuori mantenni tenacissimo le orecchie lunghe, dentro la osservanza alle regole dell’onesto vivere civile.

Però il nome, l’origine, i fatti e i detti miei furono tolti dagli uomini bene avvisati per argomento di poemi, di storie, di rime forbite e di prose di romanzi. Di quelli poi che amici non miei, bensì della mia fortuna, dopo avermi perseguitato con un diluvio di lodi, allo improvviso mutato vento, mi dissero: raca! anzi pure: — ammazza! ammazza! — codardissimi ribaldi indegni dell’onore di una mia zampata io non conservo memoria; come con una scrollatina di groppe dispersi eserciti di Zecche, che mi si erano annidate addosso, così sollevando al cielo il pensiero cacciai cotesti schifi dall’anima mia. Ma fra gli amici fedeli della sventura sempre caro mi tornerà ed onorato alla mente il nome di Gessner, comecchè tedesco, che dettò il libro: De antiqua honestate Asinorum; secondo a lui, ma distante di poco, viene nella mia tenerezza il Passerati, il quale tessè lo Encomium Asini con ingegno per avventura pari e generosità maggiore che non dimostrò Pietro Contrucci pistoiese, il quale buscò sei scudi per com-