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tai avesse appartenuto a qualche uomo insigne per pietà, rispose con voce di requiem aeternam.

— Fratello, tu hai da sapere ch’io fui cappellano della cappella del camposanto dove ti seppellirono. Mentre io durava cosiffatto officio pensando quanto fosse vergogna per la razza umana comparire da meno nella vita forse, e certamente nella morte dirimpetto alla razza delle bestie, pensai incontrare merito presso gli uomini, e presso Dio, se mi venisse fatto di trarre le cose dei morti a benefizio dei vivi. Con questo disegno mi posi a disotterrare quante più potessi ossa di morti, e le vendei al prezzo di un franco al cantáro a certo mercante, che le portò a Marsiglia per affinarne lo zucchero.

— Domine, aiutatemi, esclamai io tutto lagrimoso, ed ora dove andrò io a ripescare le mie ossa?

— E bisognerebbe, fratel mio indovinare per lo appunto in quante mila tazze, caffè, cioccolata e the, e in quante migliaia bericucoli, confortini, ciambellette, confetti e zuccherini, insomma in quanti rinfreschi