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i prodigi che apparvero nella seconda guerra punica: «un bove, egli scrive, in Sicilia parlò».1 Insomma Filippo a questo modo fantasticando si sbizzarriva. Per lo contrario Curio si compiaceva inciprignire la piaga onde portava ferito il cuore; gli veniva in fastidio ogni cosa; le più volte odiose gli tornavano le umane sembianze; le fuggiva sempre; stava ore ed ore seduto sur un tronco o un sasso con gli occhi tesi e fissi nelle immagini che gli raffigurava il suo cervello ammalato; e nella ansiosa contemplazione si andava struggendo come i mangiatori di oppio per colpa della maligna sostanza che cibano. Gli passavano balenando davanti agli occhi i campi di battaglia, i gesti arditi, le incredibili imprese; le cime nevose dei colli, gli orribili dirupi, precipitare torrenti, nemici fuggire, tornare alle offese, stramazzare feriti, boccheggiar moribondi, morti rotolare per greppi o andare travolti fra le acque grosse dei fìumi; distinti i luoghi e i volti, talchè li avrebbe potuti ritrarre a puntino con la matita ovvero col pennello; la memoria tormentatrice gli riportava con disperante precisione ogni scheggia, ogni sterpo, ogni arboscello. E niente gli fuggiva delle notti vegliate e dei baldanzosi colloqui; infine dinanzi agli occhi, per troppa tensione compunti, mirava traversare un’aquila che invece di

  1. Bovem in Sicilia locutum. Hist., l. 24.