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capitolo xxiv. 387


Non così Cario e Filippo, nei quali, dopo ch’ebbero dato sesto alle opere e agli operai, e le cose presero un regolare andamento, scese una nube che allargandosi minacciò coprire intera l’anima loro; e la patria lontana per tormentarli meglio assumeva le forme più caramente dilette, appunto com’è fama le Furie ad agitare lo spirito dei mortali con maggiore spasimo tolsero sembianze miti e nome di Eumenidi.1

Però la infermità della nostalgia procedeva sopra questi due uomini con ragione diversa. Filippo, da quel valoroso ch’egli era, si dibatteva per sottrarsi dalle male branche della malinconia; e, dandosi da fare senza requie nella caccia e nella pesca, si esercitava; ma certo di essendosi accorto che il piede gli diventava più tardo e l’occhio men certo, pensò che avrebbe fatto bene a smettere, se pur non voleva, invece di cacciare, essere cacciato; tuttavia prima di cessare le pantere non ardirono più comparire nei dintorni della fattoria, e conghi e serpenti a sonagli ed altri siffatti rettili formidabili erano sterminati; il povero uomo, per fuggire la mattana, si sarebbe attaccato alle funi del cielo; fumava sempre, sicchè la sua faccia pareva la cima del Sinai quando il Dio d’Isdraele consegnò fra mezzo la caligine in proprie mani a Mosè i coman-

  1. Eschilo, Eumenidi, trag.