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capitolo xxiii. 323


faccia lo stesso con la marchesa, appostandola alla postierla diritta; quando sentiranno il mio fischio aprano gli usci e le avventino contro gli assalitori; richiusi gli usci si compiaceranno ridursi nella sala di entratura per ricevere nuovi ordini.

Le belve, comecchè per ispiegar le ugne e insanguinare le labbra non avessero mestieri incitamento, pure i peoni innanzi di sguinzagliarle le inzigarono; da manca, da destra, con un gran salto esse cascarono addosso agli assalitori, e, poichè di cibo fossero sazie, non si fermavano a divorare, bensì guizzavano or qui, ora là, facendo sdruci con le granfie che parevano tagli di sciabola; dove addentavano portavano via ogni volta almeno una libbra di carne, nè ci era riparo, perchè investiti i ribaldi da terribilissimo urto, non si potevano reggere in piedi, e sternati non avevano schermo, nè le armi loro giovavano. Gli urli disperati, i ruggiti, gli omei e il suono strano di bramiti e di bestemmie di quel branco di bestie e di cristiani empivano il cuore di affanno: aggiungi il nitrire incessante dei cavalli atterriti, i quali tremavano, le orecchie tese appuntavano; irta la criniera, la coda diritta, tentavano sforzi maravigliosi per iscavezzarsi, o per rompere le briglie e fuggire: smanianti di paura, dalle froge aperte cacciavano fuori alito fumoso, negli occhi dilatati e reticolati di sangue roteavano la pupilla smarrita, con le zampe zappa-