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capitolo xxiii. 289


cio a sonare la campana a distesa; poi fermo; dopo tre tocchi... primo... secondo... terzo; al terzo ognuno pigli posto, si serva e mangi come può e quanto può.

Come disse fece; al terzo tocco un rovinìo di gente si affolla verso la mensa, e, come accade, ci furono spintoni da stramazzare un bufalo e gomitate da rompere una coppia di costole almeno, pestamenti di calli da far vedere tre soli in cielo e bestemmiare in terra: alla meglio o alla peggio aggreppiaronsi tutti, e senza alcun riguardo pel prossimo ognuno stese le mani rapaci e pronte al mucchio dei vegetali, procurando grancirne quanti più poteva; subito dopo tuffatili nel pimento presero a sgretolarli a morsi, sicchè subito si levò la soave armonia che menano i cavalli quando masticano fave. Parecchi i quali avevano abusato del pimento, sentendosi bruciare la gola, gridavano: bere! da bere!

Il capitano agita da capo la campana, ed ecco uscire dalla banda del bastimento e scendere per lo scaleo in cadenza una processione di negri a due a due, i quali portavano gravemente inzuppiere di metallo; accostaronsi alle mense e quivi stettero bianco vestiti e impalati. Obbedendo poi a nuovo ordine, loro significato mercè il rintocco della campana, depongono le inzuppiere sopra le tavole e tornano su ritti. Venti mani calarono in un attimo sopra ciascheduna inzuppiera e la scoperchiarono:

— Dannazione! Vuote! Come vuote? Perchè vuote?