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capitolo xxi.


— Meno l’alloggio, che fa una bagattella... un duecento lire al mese.

— Abramo, babbo dei babbi miei! Ma che crede che li abbia rubati io?

— Lei no... ma via, a questo diamogli un taglio. Confesso aver preso un granchio; e sì che doveva sapere che con voialtri ebrei non si può fare un pasto a garbo. Procurerò menar meco la Giulia, e così risparmierò a questo mio cuore lo strazio di separarmi da così angelica creatura.

— Caro lei, non vada in furia, finalmente è lecito, sotto l’impero dello statuto, a ogni cittadino tirare ai propri interessi; — se si potesse risparmiare qualche centinaio (e siccome guardando in faccia il maggiore vide che a queste parole costui strabuzzava gli occhi, si corresse...) qualche cinquantina... ventina di lire.

Ma l’altro aggrondato esclamò:

— No signore, caschi un quattrino, a monte ogni cosa.

— Ma scusi, signor maggiore, adesso mi viene in mente un dubbio: mi sembra, caro lei, che noi contrattiamo della pelle dell’orso prima di averlo acchiappato; la signora Giulia va d’accordo di essere girata all’ordine mio?

— La Giulia, parola di gentiluomo, di tutto questo è al buio; stringiamo il partito fra noi e poi m’industrierò io per farglielo accettare.