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capitolo xxi.


gliava una tacca in un regolo; al mio la disperazione risparmiava la fatica, facendogliela ella stessa nel cuore. Anco il suo cranio si mutava in prigione, imperciocchè ogni dì più si stringesse tanto da poter presagire che avrebbe in breve soffocato l’intelletto: cessata la milizia, è proprio inutile che il soldato vada a riscotere l’V anima dal magazzino dov’ei la depositò; tanto non saprebbe più dove metterla. Curio, per mantenere più che potesse acceso il lume della ragione, chiese qualche libro a leggere; da prima non gli risposero nè manco, poi glielo rifiutarono, all’ultimo glielo concessero. Sapete voi qual libro? Ve lo do a indovinare su mille. La legge della leva del 20 marzo 1854 e il codice penale sardo del 1° ottobre 1859. Trovandosi in questo modo Curio costretto ad esercitare il suo ingegno sopra materia tanto infelice, operò come la valentissima non meno che sfortunata donna di Properzia de’ Rossi, che sopra un nocciolo di pesca condusse in iscoltura tutta la passione di Gesù Cristo, con tale e tanto magistero, che chi la vide ebbe a restarne maravigliato.1 — Avendo io potuto vedere il codice militare e la legge della leva concessi per sollievo del suo spirito a Curio, li rinvenni così tanto gremiti di osservazioni, note e pensieri, da far rimanere a bocca aperta la gente; tu ti hai a figurare

  1. Cicognara, Storia della Scoltura, l. 4, c. 7.