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Elvira, ripreso fiato, narrò (era la quarta volta che la raccontava, sempre con aggiunte e correzioni) la pietosa storia alla pretoressa, la quale ne pianse tanto da immollarne due fazzoletti; allora Elvira conchiuse col pregarla ad esserle favorevole per ismovere il pretore a non impedirle di ricondurre la figliuola a Milano; ella non poteva trovare il terreno più sollo, perchè ci ebbe appena pigiata la vanga che ci entrò fino al manico, e le diceva: «non so ne desse pensiero; lasciasse fare a lei; non ci era a dubitarne nemmeno; niente niente nicchiasse il pretore, l’avrebbe dovuto contrastare con lei.» E così via, come costumano le donne, quantunque eccellenti, dove si reputino cardini della famiglia. — Elvira, tratto fuori un biglietto da cinquecento lire, lo esibì alla povera donna, la quale, diventata rossa come una fiamma di fuoco, lo rifiutò esclamando: «che per un po’ di opera buona ci è mestieri pagamento? Da quando in qua si usa comprare anche due parole di carità?»

— No, buona signora, rispose Elvira, la carità non si compra, ne si vende; ma poichè la beata Vergine mi ha fatto la grazia di salvare questa mia diletta figliuola, è debito di cristiano mostrare la propria gratitudine alla madre di Dio facendo un po’ di bene al proprio simile; e questo debito tanto più preme a me, che la Provvidenza volle colmare di ricchezze. Avrei pertanto voluto spedirle