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capitolo xviii. 319


brontola cupamente nello avventarci le mani, o piuttosto gli artigli di falco. Rasentando i muri, appiattandosi in qualche via traversa e quivi trattenendosi, finchè non si fosse assicurata se la fantasia non l’aveva illusa, o si allontanasse il viandante di cui le pedate le misero addosso la paura, le riuscì rinvenire a colpo la rimessa ove il Merlo aveva riposto la carrozza; l’aperse e la richiuse cauta: accese una piccola lanterna di cui il raggio spandevasi per breve tratto; entrò la carrozza; remosse, sdipanando certe viti, la spalliera imbottita, dietro la quale comparve uno sportello ferrato; anche questo dischiuso, tentò gettare dentro l’apertura il portafogli; ma invano, perchè troppo angusta; non ci trovando altro partito, ruppe il fermaglio al portafogli: alla vista di tanti bei biglietti nuovi di stampa il suo cuore si dilatò: e voi non siete tanti, ella esclamò, che io non sia donna da finirvi in capo all’anno. Non potendo resistere all’agonia, ne acciuffò una dozzina a conto, parte di 1000 e parte di 500 lire: molto più che si trovava corta a quattrini; e neglio di ogni altro sapeva che le ruote senza ungerle, o non girano, o girano male; rimise ogni cosa al suo posto; richiuse la porta, e chiotta chiotta pel giardino rientra inosservata in casa. Prima di tutto, al Merlo, sempre imbertucciato, ripone la chiave della rimessa in tasca; muta poi calzatura e veste: per ultimo chiama il locandiere, il quale la pregò umil-