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avrà a fallire: aggiungono come cosa sicura, che manderanno ad arrestare il nipote: anzi le gazzette sbraitano perchè a quest’ora non l’abbiano chiuso in domo Petri. Tanto per suo governo: secondo il nostro accordo, appena saprò cosa importante, le scriverò a Genova ferma in posta sotto il medesimo nome; procuri farla ritirare.»

Avverto che la lettera fu rinettata dagli svarioni di sintassi e di ortografìa, perchè arieggiavano la cameriera lontano un miglio.

Quando Amina tornò nella stanza rinvenne Omobono che stringeva convulso la lettera con ambe le mani; livido come morto; strabuzzati gli occhi: deposta la lettera, si abbottona il soprabito fino all’ultimo occhiello, forte si calca il cappello sul capo, e disse:

— Vado a Milano.

L’Amina conobbe a volo che il cavallo, arrivato troppo sul vivo dallo sprone, stava sul punto di rovesciarsi, però messe da parte le parole importune, forse pericolose, legatasi il cappellino sotto la gola, avvoltasi entro una mantiglia, risoluta confermò:

— Andiamo a Milano.

— Tu hai da rimanere.

— Io devo venire con te. Chi sono diventata io? Come mi lasci? Chi mi sostiene? Da te in fuori non mi avanza altro rifugio; capisci, bisogna o perire o salvarci insieme; e se ti vince la malignità umana,