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capitolo xvii. 223


gata ed elegante: facili scendevano le induzioni; il nesso dei raziocini rinterzato per modo, ch’egli stette sul punto d’innamorarsi della sua fattura, come l’antico Pigmalione, dicono, ardesse per la statua che aveva scolpita.

Sotero stesso, parchissimo lodatore, ebbe ad esclamare:

— Bel lavoro! Me ne rallegro teco; un vero istrice, da tutti i lati punge: io non so come gli avvocati potranno levare dal collo dei loro clienti la corda che tu ci hai messa.

Per tutto il tribunale in breve si sparse il grido che le requisitorie del regio procuratore erano un bel lavoro; da un punto all’altro per le cantine, per le soffitte, nei sottoscala, per camere e stambugini l’eco si rimandava le parole: bel lavoro! bel lavoro! E chi non lo aveva letto era per l’appunto quegli che lo lodava di più.

L’estratto di questo capodopera fu notificato ai detenuti nelle forme prescritte dalla legge. Zaccaria Recanati, quando vide entrare l’usciere in carcere, imbiancò, tentennò come se temesse gli fosse venuto a leggere la sentenza di morte. Degli uscieri come dei fagiuoli ce ne ha di più specie; i secondi turchi, coll’occhio, bianchi e via, ma tutti ventosi; i primi bruschi, agrodolci, sdolcinati, ma tutti sinistri; il nostro sapeva di dolce, sicchè pensando alla posola che stava per affibbiare a cotesto