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vera, ciò faceva meno per la speranza di goderne, che per acconsentire allo impulso dei contrasti messo dentro di noi dalla natura, la quale ha disposto che a maestro Adamo, trangosciato dalla sete, ricorrano davanti nella immaginazione i ruscelletti freschi dei colli dell’Appennino.1

Ora accadde, che affannandosi ella a consolare gli altri, quanto gli altri si studiavano consolare lei, in un dì di settembre, verso la fine, mentre il sole ormai declinando ad occidente investiva lei, il letto e ogni altra cosa che si trovava nella camera, ella, tenendo strette nelle sue le mani della madre e di Eufrosina, che in piedi da un lato e dall’altro le ministravano, con voce piana e soave prese a ragionare:

— Madre e sorella mia, ho sentito dire spesso, è questo ho ancora letto, che la creatura, quando si approssima alla morte, acquista la facoltà di penetrare nell’avvenire. Chi sa? Dio forse, in refrigerio delle tenebre eterne che ci stanno sopra, dona ai moribondi una passeggera accrescenza di lume. Certo è che, quanto vive e splende, si spegne in un lungo alito di vita e di luce; ed io lo provo in me, che, ormai prossima a lasciarvi, mi sembra leggere nel futuro come in un libro aperto.

— Ah! esclamò Eufrosina, portando la mano li-

  1. Dante, Inferno 30.