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capitolo xiv. 365


circoncisi. — Partita la marchesa, la mia albergatrice, confortandomi alla sua maniera mi favellò: la secchia cascata nel pozzo, ho sentito dire che un bugiardo. la ripesca, ma un’anima cascata in mano ai gesuiti, non la riscatta ne manco un santo: non istate a logorare qui invano tempo, salute e quattrini; correte dietro all’altra figliuola, e di due procurate almeno ricuperarne una.

Pur troppo ella mi consigliava da quella savia donna che ella era; ma per consiglio cuore appassionato non si arrende: quando mi vidi al verde di ogni partito, non ascoltando altro che la mia disperazione, mi gettai allo sbaraglio, e presi a correre la città con urli e pianti per tirare a me la misericordia del popolo: pensai che i gesuiti avrebbero concesso per paura quanto avevano negato per pietà; e il primo giorno bene me ne incolse, che la gente mi si accalcava d’intorno, e mi compiangeva, ed alla libera gridava; essere infamia cotesta; doversi rendere la figlia alla madre; a cotesto mo’ i falchi portano via le piccione, non i religiosi le fanciulle dalle loro famiglie. Avrei abbracciato e baciato tutti; mi ridussi a casa pieno il cuore di dolci presagi; il giorno veniente tornai alla prova con maggior lena di prima. O Dio! quale disinganno crudele; appena uscita di casa una mano di straccioni prese a rincorrermi urlando: è matta! è matta! Mi assordarono i fischi, ed anco qualche sassata mi ammaccò